a cura di Elisa Zuri

Il conteggio dei casi positivi. Le pratiche di lavoro da chiudere prima di un altro lockdown. La vita interrotta. La paura del virus che si avvicina, i progetti che non si possono fare, il tempo che passa.

La testa gira alla velocità della luce, mentre vado verso un Wash and Dry e penso che, tutto sommato, sto reagendo bene, sono serena e non manifesto segni di cedimento. Penso: ora vado ad asciugare i panni all’asciugatrice, così mi prendo una pausa e leggo un libro tranquilla.

Poi, dopo 10 minuti che sono seduta, cerco il libro.

No. Forse non sono proprio presente e centrata.
Fermo tutto, apro l’oblò, raccolgo le pagine e mi metto a leggere il libro stropicciato di Erling Kagge, il norvegese che ha raggiunto per primo il Polo Sud in solitaria ed il primo uomo a raggiungere i “tre poli”, Polo Nord, Polo Sud e una cima dell’Everest.
Penso, leggendo il suo Camminare. Un gesto sovversivo, di evadere dal mio mondo, che con la pandemia si è ristretto e che in questo momento percepisco molto limitato, come quello di tutti. E invece mi ritrovo immersa proprio nel mio spazio quotidiano, nelle mie percezioni, nelle diverse esperienze del tempo che la vita mi dà modo di provare. Ma la cosa strana è che questo mi fa sentire di nuovo bene.
Kagge parla dell’esperienza dal camminare, che ha contraddistinto l’Homo Sapiens nell’evoluzione. Ne prende in considerazione varie forme, dai primi passi di un neonato, che forse sono la cosa più pericolosa che facciamo nella vita, agli spostamenti di necessità, alle camminate in montagna, alle rotte dei migranti, alle migrazioni delle popolazioni contadine. Ma il suo sguardo si concentra soprattutto sul perché camminare, sul modo in cui la vita cambia quando si cammina.
Come è ovvio, fa bene alla salute, ma non solo. Camminare permette di procedere lentamente, di sentire di più, allarga la dimensione temporale, ti fa conoscere lo spazio che attraversi nei dettagli.
La vita dura di più quando cammini, perché camminare dilata ogni attimo.
Kagge racconta aneddoti di montagna ed esperienze personali incredibili, tra cui anche un giro del sottosuolo di New York attraverso chilometri di tunnel fognari, ferroviari, idrici e collegamenti metropolitani. Camminare è il suo modo di fare esperienza, di conoscersi, di trovare la propria posizione nel mondo: camminando si acquisiscono nuove coordinate, si dà spazio alle emozioni, si possono vivere i luoghi in modi sempre nuovi.
Incredibile è il racconto che fa di una donna africana cieca, che per essere curata della sua cecità, si carica in braccio il figlio e si mette in cammino verso un villaggio, dove pare sia arrivato un presidio medico. Non conosce la strada, testa il terreno con i piedi, acuisce tutti i sensi, rischia la vita ad ogni passo, perché si trova ad attraversare strade trafficate e nessuno può aiutarla. Quando raggiunge il villaggio, l’oculista scopre che si tratta di una banale congiuntivite e la cura. La donna vede per la prima volta suo figlio. Quando il medico si offre di riaccompagnarla in macchina, lei non sa dare indicazioni, perché non ha visto niente, ma solo sentito con i piedi. E solo a piedi è in grado di tornare a casa.
La felicità non viene dal mettersi in pericolo, ma dal coraggio di affrontare delle difficoltà e di assumersi dei rischi, con la speranza che il cammino porti delle belle scoperte. Anche quando sembra impossibile. Perché, come dice il filosofo alpinista Arne Næss, ogni tanto l’impensabile può capitare anche a noi.
In un mondo che è organizzato per tenerci più possibile seduti, camminare è un atto rivoluzionario e di libertà. Per governi e imprese è più facile controllarci finché siamo seduti, dice Kagge. Non a caso tante rivoluzioni sono nate da persone che si sono messe in cammino e hanno creato dei movimenti di massa, a partire da Gandhi.
Certamente Kagge ha visto panorami mozzafiato, la magia dei ghiacci del Polo. Ma quello che importa e che, leggendo, ti riguarda, è che camminare ha a che fare con il porsi delle domande, con il cadere e rialzarsi ad ogni passo, con la ricerca della felicità.
La via più difficile e scomoda è quella che porta più soddisfazioni. Non perché si deve essere masochisti, ma perché è molto più intenso quello che si percepisce.
Spesso più si è messi alla prova e più si arde di gioia: il senso di conquista ci illumina, i sensi sono più accesi. La vita scorre meglio di quando si sta seduti in poltrona, a censurare la possibilità di fare grandi esperienze.
Dopo aver letto un po’, mi sono sentita più leggera.
Finché si può camminare, siamo vivi.

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a cura di Elisa Zuri

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