a cura di Elisa Zuri

Spesso si pensa che per ascoltare basti stare in silenzio e sentire le voci, i rumori intorno.
Si pensa di poter camminare nella natura e di percepirne subito i movimenti o di ascoltare la voce di qualcuno e di capire cosa dice.
Sappiamo che esistono vari livelli di attenzione con cui è possibile ascoltare e, maggiore è l’attenzione, maggiore sarà la comprensione di cosa percepiamo.
Ma nella maggior parte dei casi ci è poco chiaro che quello che riusciamo a sentire dipende prima di tutto da quanto siamo capaci di ascoltare. L’ascolto è intriso di pregiudizi, ideologie o mosso dal bisogno di autoaffermazione. Spesso si sente solo quello che si riesce a gestire e non siamo pronti ad un ascolto che vada oltre.
L’ascolto profondo, autentico, avviene quando si sospendono le parole, quando si guarda alle cose disarmati di giudizio.
Molte volte ne diventiamo capaci in situazioni dolorose che lasciano disorientati, di fronte a eventi della vita in cui ci si sente impotenti. Lì spesso si aprono squarci di risonanza veri.
Mi viene in mente Quoyle, il protagonista di Avviso ai naviganti, il romanzo di Annie Proulx.
Quoyle è un uomo goffo, che non soddisfa le aspettative dei genitori e che cresce senza stima di sé, senza la capacità di scegliere e di trovare le parole giuste. Piuttosto si imbatte in lavori che non gli corrispondono, in una moglie che lo sfrutta e lo maltratta, in fatti che subisce. Solo per caso, o per un destino benevolo, o per banali probabilità, in mezzo a tanti disastri, gli capitano anche dei piccoli semi di fortuna.
Un giorno, il più tragico della sua vita, in cui perde tre persone vicine nei modi più dolorosi e offensivi possibili, quando non ha più niente da perdere, una zia gli suona il campanello e lo invita a seguirla nel suo viaggio di ritorno alla terra delle loro origini, l’isola di Terranova in Canada, di cui Quoyle non sa niente. Si mettono in cammino tra ghiacci e luoghi aspri, in cui è arduo sopravvivere. Sono paesaggi che li mettono spesso in scacco e che riflettono la durezza del momento interiore che Quoyle sta attraversando. L’isola è pervasa di suoni, di leggende e sembra sussurrare continuamente voci incomprensibili e spaventose. O forse solo sconosciute.
Quoyle ha con sé la presenza fiduciosa della zia e due figlie piccole che ama. L’isola è un nuovo scenario in cui costruire, in cui ricominciare da cosa sa fare. Qui Quoyle osserva, agisce, soprattutto inizia a sentire in modo nuovo, a partire da sé stesso e non da chi ha paura di essere o non essere. E questo cambia tutto. Le cose di cui è capace, le relazioni che inizia, la fiducia nel futuro.
E’ questo quello che accade. Che ci sono degli attimi di rivelazione che cambiano lo sguardo. Ma da quelli si può imparare. Sono come dei precedenti da ripetere. Ci si può esercitare, si possono studiare percorsi personali per far ricapitare le condizioni di rivelazione. Senza dover aspettare eventi tragici. Un allenamento alle nuove prospettive, alla possibilità di gioia.
Che a volte, dietro grandi ostacoli, si aprono superbi panorami.

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a cura di Elisa Zuri

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