a cura di Elisa Zuri

Sotto questo portico c’è sempre un gran via vai: chi va a fare la spesa all’Esselunga, chi va alla Posta, chi in Farmacia. Anche se è stretta e lunga, questa è la piazza che non c’è in questa zona che qualcuno chiama I Bassi, qualcuno l’Argingrosso e qualcuno l’Isolotto nuovo. Il nome originario sarebbe il primo – I Bassi – ma lo usano in pochi, forse perché fa pensare a un posto che è il contrario dei “quartieri alti”, un posto disgraziato. Meglio l’Argingrosso, che almeno ha qualcosa di maestoso. Meglio ancora l’Isolotto nuovo, perché ora l’Isolotto, quello storico, va di moda e ‘nuovo’ dà l’idea di pulito e che funziona bene.
Comunque, qui la gente non ci si ferma, ci passa giusto il tempo di fare la spesa o di sbrigare quello che ha da fare. Invece Santo ci passa le ore. Le ore del suo turno di guardia giurata. Controlla che tutto vada a dovere. Che nessuno si faccia male. Santo di nome e di fatto, avrà pensato l’Annina quella mattina. Era uscita presto, l’Annina, perché a ottant’anni non si dorme più di tanto. Allora meglio alzarsi, che poi di pomeriggio non s’ha più forza. Le cose è meglio farle di mattina. Quella mattina Santo è stata l’ultima cosa che ha visto, poi e chi se lo ricorda. Quella mattina Santo era sceso di casa prima dell’Annina perché il turno comincia presto. A lui, che allora di anni ne aveva quarantasei, alzarsi presto gli faceva ancora fatica ma almeno faceva alla svelta perché abitava in quel palazzo lì al quinto piano. Stava finendo di bere il caffè dal bicchierino di plastica quando ha visto l’Annina. Allora il nome non lo sapeva. Era una nonnina come tante. L’ha notata perché barcollava un po’. Magari era solo l’età, ma, mentre buttava il bicchierino di plastica nel cestino, Santo ha continuato a guardarla. E ha fatto bene perché dopo qualche passo l’Annina ha avuto uno svarione. Magari aveva inciampato: c’è un sanpietrino bastardo in cui ogni tanto inciampa anche Santo. E siccome di preciso non si ricorda dov’è, ci continua a inciampare anche dopo tre anni che fa su e giù sotto questo portico. Comunque l’Annina si è ripresa e ha fatto qualche altro passo, ma poi è arrivato un altro svarione, il secondo. Allora non ha inciampato – si è detto Santo accelerando il passo – no, c’è qualcosa che non va. In un film americano avrebbe corso all’impazzata scavalcando la gente, invece lui non ha fatto altro che pararsi tra l’Annina e il muro e lei gli è venuta addosso. Se non l’avesse presa lui, prima di finire lunga per terra, avrebbe battuto la faccia sul muro. E queste pietre non perdonano, son ruvide, e anche se ti ci strusci appena ti fai male. E poi una persona a quell’età ha la pelle delicata. Magari non sarebbe morta per quello ma si sarebbe fatta dimolto male – così dice Santo mescolando accento palermitano e modi di dire fiorentini. È una parlata piuttosto comune da queste parti, dove gli immigrati dal meridione hanno cominciato a arrivare fin dagli anni ’50. Comunque l’Annina non lo sente Santo che gli parla mentre la stende per terra. Con gli occhi sbarrati vede solo le labbra che si muovono mentre Santo pensa: ora mi muore tra le mani. Per terra la gira su un fianco stando attento che la lingua non la soffochi. Le procedure di primo soccorso le ha imparate al corso di guardia giurata, e le ha imparate bene perché l’idea che qualcuno gli muoia tra le mani non gli è mai piaciuta. E allora chiama subito il 118 e l’ambulanza per fortuna arriva alla svelta e se la porta via a sirene spiegate l’Annina.
“Ah, il mio salvatore!”, gli ha detto l’Annina tornata dall’ospedale. Aveva avuto un’ischemia, gli ha raccontato, mentre insisteva per offrirgli almeno un caffè. E tutte le volte che veniva a fare la spesa glielo raccontava di nuovo e gli offriva il caffè. Ora però non veniva da sola, c’era anche la Manuela, una ragazza che le faceva da badante. E un caffè dopo l’altro, Santo ci ha fatto amicizia con la Manuela. È stata lei, un paio d’anni dopo a dirgli che l’Annina era passata a miglior vita. Ma non per colpa dell’ischemia.
Ora Santo si è trasferito a Scandicci ma lavora ancora qui, qui si sente a casa sua e continua a fare il suo – come dice una sua amica – perché nessuno si faccia male.

 

Questa storia è stata raccolta in Visione periferica, un progetto di Centro di Creazione e Cultura e Tempo Nomade teso a coinvolgere le persone che vivono nei quattro quartieri periferici di Firenze in un processo di (ri)scoperta del territorio attraverso pratiche artistiche di impegno sociale, sulla base di specifiche sollecitazioni espresse dagli abitanti stessi. Nel 2021 Visione periferica ha operato nel Quartiere dell’Isolotto. Con il contributo della Fondazione CR Firenze sul bando Partecipazione culturale e il sostegno Quartiere 4 del Comune di Firenze e di BiblioteCaNova Isolotto. Partner di progetto: CEP (Centro Educativo Popolare ONLUS – Comunità dell’Isolotto), Piccola Scuola di Pace Isolotto, CEPISS – cooperativa per il sociale.

Foto di Rebecca Lena

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a cura di Elisa Zuri

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