a cura di Elisa Zuri

Claudia è venuta ad abitare all’Isolotto nel ’91. È più tempo che vive qui di quello che ha passato a Treviso, dov’è nata. Abitava vicino alla sughera, in via Viani, e da lì, percorrendo Viale dei Pini, arrivava qui in piazza dove, sotto la tettoia del mercato, c’era uno strano gruppo di persone che non si capiva chi fossero né cosa facessero. Claudia ci ha messo un po’ per capire che quella era una messa perché non assomigliava granché a quelle che aveva visto fino ad allora. La prima cosa che ha notato è che c’era chi stava più vicino e chi più a distanza. Insomma, si poteva ascoltare senza farsi coinvolgere. La incuriosivano perché parlando passavano da questioni legate alla vita del quartiere a vicende internazionali senza soluzione di continuità. Erano seduti su delle seggiole di legno che portava un signore: in seguito Claudia ha saputo che si chiamava Raffaello. Raffaello con un camioncino arrivava un po’ prima e montava tutte le seggiole, e alla fine le rimetteva sul camioncino e le portava via. Ma questi chi sono, da dove vengono, cosa li muove – si chiedeva Claudia.
La cosa che la colpiva di più, però, era il microfono, il fatto che chiunque prendesse il microfono in mano e, qualunque fosse l’argomento della domenica, dicesse la sua, ragionasse a voce alta. Erano persone di tutte le età e di tutti i tipi: dalle nonne ai professori universitari, tutti allo stesso livello. Così, con i suoi tempi, Claudia ha cominciato ad avvicinarsi. E ha capito che in quella messa laica chiunque poteva essere qualsiasi cosa. Nessuno faceva domande su appartenenze o credenze. E se un giorno volevi stare più in disparte nessuno ti chiedeva perché.
Il microfono l’ha colpita perché non è facile che le persone possano prendere la parola, che gli sia dato lo spazio, il tempo, l’agio per dire quello che pensano. Né che ci sia qualcuno che ascolta, che per Claudia è un esercizio esistenziale e politico per niente scontato. Magari spazi per prendere la parola c’erano nelle fabbriche o nella scuola ma di certo non in chiesa. Lì c’era uno che poteva parlare mentre gli altri potevano solo ascoltare e obbedire. Nessuno aveva diritto di dire la sua. Invece sotto la tettoia dove si riuniva la comunità dell’Isolotto non si capiva nemmeno chi erano i laici e chi i preti. All’inizio Claudia cercava di individuarli i preti, aveva puntato un tipo alto e magro dall’aria ieratica che secondo lei… e invece no.
Il microfono era diventato ai suoi occhi il segno che si poteva maturare un pensiero personale e trovare la forza di esprimerlo in tutti i campi, anche quelli che sembravano esclusi.
Il microfono è legato alla voce e al corpo e Claudia qui in piazza ha imparato che la voce e il corpo hanno una forza, una potenza. Se ci metti la voce e il corpo, magari non cambi il mondo ma fai qualcosa che ti dà dignità.

 

Questa storia è stata raccolta in Visione periferica, un progetto di Centro di Creazione e Cultura e Tempo Nomade teso a coinvolgere le persone che vivono nei quattro quartieri periferici di Firenze in un processo di (ri)scoperta del territorio attraverso pratiche artistiche di impegno sociale, sulla base di specifiche sollecitazioni espresse dagli abitanti stessi. Nel 2021 Visione periferica ha operato nel Quartiere dell’Isolotto. Con il contributo della Fondazione CR Firenze sul bando Partecipazione culturale e il sostegno Quartiere 4 del Comune di Firenze e di BiblioteCaNova Isolotto. Partner di progetto: CEP (Centro Educativo Popolare ONLUS – Comunità dell’Isolotto), Piccola Scuola di Pace Isolotto, CEPISS – cooperativa per il sociale.

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a cura di Elisa Zuri

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